giovedì 9 aprile 2009

ARCHITECTURE À RÉACTION POÉTIQUE

Quando Le Corbusier, nelle sue case introduceva - oltre alla promenade architecturale - i famosi 'oggetti a reazione poetica', egli estrapolava selezionatamente dal mondo frammenti plastici, che poi traduceva in design. Un mondo che poteva essere quello della natura, piuttosto che quello della storia o ancora quello della macchina e della quotidianità, a cui appartenevano elementi scelti attraverso "occhi che sanno vedere". Una volta che Le Corbusier aveva soddisfatto le richieste funzionali dell'architettura, attraverso processi quasi normativi, egli faceva - come aveva appreso sull'acropoli di Atene - emergere dalla "standardizzazione" la sua personalità artistica, infondendo alle sue architetture quello che Zevi definisce un "geometrico palpito cosmico". Questi oggetti non dovevano semplicemente essere lì, ma suscitare una reazione; non
dovevano lasciare impassibili i fruitori, ma coinvolgerli in un sentimento, in un'emozione, che l'architetto svizzero definisce addirittura poetica. Se da un lato dunque c'è una visione dell'architettura come macchina che doveva per prima cosa funzionare bene, avvicinandosi a un lato più propriamente tecnico-scientifico, dall'altro lato, Le Corbusier - che era anche pittore e scultore - ci insegna che occorre imprimere all'architettura qualcosa di più, qualcosa che oggi potremmo definire una "informazione" in più, che egli legava ad alcuni oggetti particolari (ossa, conchiglie, foglie, rami, sassi, ecc.).

Per riportare il discorso ai giorni d'oggi, come afferma il Prof. Saggio, il dato "funziona bene" è un assunto imprescindibile che ormai si dà per scontato; quello che conferisce all'architettura (come anche ad altri campi) un plusvalore, è l'elemento informazione. La nuova architettura sta diventando nella sua interezza un object à réaction poétique, e l'intero processo progettuale, avanzato sull'informazione, deve costruire forme estetiche capaci di emozionare. Se per alcuni queste forme sono costituite dalla purezza dei solidi platonici, altri invece la individuano - come anche Le Corbusier nell'ultimo periodo della sua attività - in forme più libere e complesse che riescono ugualmente (o forse anche di più) a pizzicare quelle corde dei sentimenti che ci fanno emozionare. Come già sostenevo in un altro post, oggi ci stiamo avvicinando molto a quelli che per i Greci erano gli ideali di bellezza: la scultura greca era ritenuta più bella tanto più essa si avvicinava a simulare il reale - ricordiamo in proposito il celebre Grappolo d’uva di Apelle (IV secolo a.C.) che, a detta della diffusa aneddotica, era così simile al vero che “gli uccelli correvano a becchettarne gli acini”. Questo concetto di mimesis è trasportato oggi all'interno dell'in-formazione architettonica, tanto che troviamo (un nome per tutti: Calatrava) vere e proprie architetture che traggono origine da riflessioni su conchiglie, ossa ecc. Grazie all'information technology, la biologia entra ancora più potentemente nell'architettura, soprattutto nello studio dei suoi processi chimico-fisici, tanto che già si iniziano a vedere prodotti edifici sempre più simili a organismi, in un'estasi estetica che ha ormai assimilato ed esteso quelle lecorbuseriane "presenze provocatrici di emozione".

immagine: la Kunthaus de Graz, di Peter Cook

8 commenti:

  1. Un omaggio a questo nostro proto-architetto,che ha saputo cogliere così bene le linee guida dell'architettura contemporanea e tradurle in una lucida analisi estetica. Un plauso dunque alla bravura che, lo speriamo, saprà esprimersi in forme sempre più alte.

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  2. Si è aperta una discussione su FB in merito al metodo di insegnamento del prof.Saggio e a l'utilizzo del blog. (ci sta un post che ti coinvolge sul blog di salvatore d'agostino)
    Sarebbe interessante un confronto.

    http://www.facebook.com/topic.php?topic=8176&post=35151&uid=35347037997#/group.php?gid=35347037997&ref=

    A lunedi!

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  3. Gli oggetti stravaganti introdotti quasi come rottura di un meccanismo ben congeniato(i suoi edifici)sono delle sperimentazioni crescenti,in modo formale ma intendo anche in senso cronologico.Le corbusier impara a dipingere e poi a scolpire dalla vicinanza di alcuni personaggi di viaggio degli anni 20 e 30 e affina le sue tecniche nel corso di una vita intera(cito:bisogna essere maestri di se stessi).Quindi vedrei l'emergere di un bisogno plastico sempre crescente e predominante col passare del tempo nelle sue architetture,fino a diventare esso stesso architettura (l'apoteosi è Ronchamp),come un percorso artistico parallelo quanto occasionale ma comunque decisivo.Vedere a priori gli oggetti a reazione poetica come innesti coscienti di un giovane Le Corbusier alle prime armi con l'arte è un pò tendenzioso,tanto è vero che la quasi totalità delle sculture presenti nelle sue case degli anni 20 sono fatte da altri scultori suoi amici o diretti collaboratori (e questo è un aspetto sottovalutato della faccenda).... solo una riflessione ,a presto

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  4. Ciao Cristian, intanto grazie del commento. Io credo, al di là della bottega dove Jeanneret abbia imparato a scolpire piuttosto che a dipingere, il valore fondamentale sia nella SCELTA che una figura complessa e completa come appunto la sua, attua nel momento di inserire nella sua architettura (già dalle prime case realizzate)gli oggetti a reazione poetica, teorizzati insieme alla promenade architectural già a casa La Roche, del 1923. Dopotutto Le Corbusier voleva introdurre un senso normativo alla sua architettura (vista come una macchina per ...), che appunto sfocierà sia nei "cinque punti" sia nella produzione del "Modulor", alla ricerca di valori universali. Dubito quindi come sostieni te che l'inserimento di quegli oggetti da te definiti "stravaganti" sia un processo non cosciente, non volontario; Le Corbusier non credo fosse un tipo tanto volubile, da compiere una scelta non ponderata, togliendogli il merito di una ricercatezza plastica. Senza contare poi, aspetti della sua personalità, come il fatto che gli piacesse il sopraggiungere del caso anche nella fase di produzione dell'architettura, come ben spiega André Wogenscky nel suo "Le mani di Le Corbusier", ribadendo comunque una forma mentis ben precisa. Ricorda poi la formazione di Le Corbusier a L'Ecole des Beaux Arts e le non trascurabili "Lezioni" dei suoi viaggi, che secondo me l'hanno ben più formato alla ricerca plastica, delle sculture degli amici a cui te fai riferimento. Un saluto e a presto

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  5. non volevo essere frainteso... quel che scrivi è del tutto pertinente e corretto e intendevo che l'ingresso dell'arte all'interno delle sue abitazioni avviene "in sordina" in maniera parziale in questo senso quasi involontaria e timida,quasi fosse un processo "non cosciente, non volontario", ma soltanto quale "gesto" di rottura con l'estetica razionale delle proprie architetture.Non a caso parlo di estetica , perchè tali oggetti sono per lo + stravaganti sculture di Savina o di entrambi inseriti come contrapposto all'estetica oggettivizzata del suo funzionalismo. Ovviamente la sua formazione avviene all'istituto d'arte di Chateau Le fonds ma la maturità e la piena consapevolezza dei propri mezzi arriva soltanto alla fine di un percorso di lavoro lungo una vita.
    Cito Le corbusier in una lettera indirizzata al suo amico (e scultore della quasi totalità di oggetti lignei presenti nelle sue case anni 20) Savina:
    “L’esperienza fatta con Voi si ripete con dei giovani del mio studio; non sono scultori di professione (…) abbiamo fatto il progetto di una cappella che sarà sensazionale. Senza decorazione, ma che forme e che risposta al paesaggio!”. Scriveva di Notre-Dame-du Haut a Ronchamp.
    Ribadisco che la scultura in Le corbusier ,come la pittura è un percorso parallelo che lo accompagna per tutta la vita con fasi e declinazioni molto diverse(si parla di tre diversi periodi ma anche queste sono esemplificazioni non da poco).La capacità tecnica nonchè quella concettuale(in molte lettere Le corbusier scrive di "aver maturato tali capacità(si riferisce alla sua pittura) soltanto alla fine di un lungo cammino..." ) gli è da guida e da indirizzo (per sua stessa ammissione) nell'architettura.In questo senso Ronchamp è un icona architettonica (per il resto dell'umanità) ma è per Le Corbusier una sintesi del lavoro di una vita, un traguardo raggiunto inteso come fusione delle arti applicate,della pittura della scultura e della architettura (desiderio + volte ricorrente nella storia dell'architettura...) Ecco perchè mi azzarderi nel dire ,visto il traguardo plastico raggiunto solo alla fine di tutta una vita(parlo del dopoguerra e se vuoi possiamo pensare alla generosità di forme data a chandigarh)che gli esordi degli anni 20 ,gli innesti (parola che mi sta a cuore) dei suoi oggetti a reazione poetica siano soltanto l'inizio,senza dubbio privo della "completa" maturità e della consapevolezza raggiunti sul finire... Sul viaggiare poi credo che nessuno possa essere in disaccordo mentre sui debiti del Le corbusier pittore(e dunque immediatamente architetto) nei confronti di una serie di maestri che incontrò e frequentò a Parigi si può aprire un grande dibattito... scusa la lungaggine(he he il dono della sintesi ad avercelo...)

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  6. personalmente io credo nel valore della scelta... Le Corbusier ha raggiunto ben presto la notorietà, soprattutto dopo la pubblicazione di Vers une Architecture, scritto tra il '20 e il '21 (ha 33anni!); lui è dunque anche un teorico (sebbene già a soli 19 anni costruisce casa Fallet, con René Chapallaz)ed il suo programma architettonico è dunque ben definito. E' evidente che per tutta la sua vita, il lavoro di LC sia una continua evoluzione, anche con evidenti contraddizioni e negazioni di alcuni suoi pensieri. Quello che volevo sottolineare nel post, era proprio il fatto che l'introduzione degli oggetti a reazione poetica è un evento significativo e determinante per i suoi sviluppi futuri; senza la loro teorizzazione, non credo sarebbe stata possibile Notre-Dame-du-Haut. E infatti nel post segnalavo come queste parti eccentriche, da episodi "unici" (dunque ovviamente non completamente maturi) divenissero vere architetture essi stessi (penso ad esempio alle curve del tetto giardino di Ville Savoye, o ai camini dell'Unité d'Habitation).
    P.S. E' bello scambiarsi pensieri con te Cristian!

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  7. Questo mi fa riflettere molto sulle tematiche che sono care al corso CAAD.Non solo non abbiamo a disposizione "una vita" per poter maturare una simile coerenza di pensiero(fermo restando che potremmo prendere un qualsiasi filone di ricerca condotto in un qualsiasi anno da Le Corbusier e..... cascheremmo sempre in piedi!) non soltanto non ne abbiamo il tempo ma la figura dell'architetto oggi è in costante accelerazione.L'informatica è un accelerazione che miete vittime in maniera incontrollabile... diventano obsolete le nostre conoscenze software nel giro di pochi anni,superate le nostre esperienze progettuali anche in soli pochi mesi.In + essere in contatto con i raggiungimenti + alti della ricerca architettonica da tutto il mondo tramite la rete è un continuo confronto nel quale non possiamo che essere in crisi... difficilissimo è non farsi prendere dallo sconforto nel vedere la ricerca architettonica condotta dall'ultimo gruppo emergente che non fa in tempo a stabilizzarsi che è già surclassato dal nuovo... La nozione di tempo (così come poteva profittarne Le Corbusier) è completamente differente e se da un lato la struttura a rete coinvolge e arricchisce mette profondamente in crisi i propri valori.Credo che perfino Le corbusier faticherebbe ad imporsi in maniera così unilaterale oggi giorno.In merito alla questione ricordo che chiesero al prof.Pedretti (che tiene l'unica cattedra su Leonardo da Vinci al mondo,in california) in una intervista
    televisiva: se Leonardo fosse vivo ai nostri tempi,quale direzione avrebbe preso in un mondo così settorializzato e colmo di figure professionali poco interdipendenti...? Pedretti rispose che oggi Leonardo non avrebbe difficoltà ad interpretare il ruolo del regista ,perchè è una professione che integra a confine fra mille materie differenti,l'arte,la tecnica,la creatività e che difficilmente il valore di un singolo pittore,architetto o scenografo(quale Leonardo fu a Milano) sarebbe emerso in modo così diretto e incontrovertibile... i tempi cambiano!
    P.s.lo penso anch'io Andrea,questo è il senso propositivo del commento ed ha un suo fascino del tutto differente qui sul blog che non a lezione... non trovi?

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  8. concordo pienamente con quanto da te detto! Siamo a un cambio epocale e dunque credo non sia possibile adesso stabilizzare il nuovo sistema (di valori, di pensieri, dell'essere, ecc.)per cui ci sembra sempre di nuotare in un'acqua alta e agitata. Siamo in un mondo che è pieno zeppo (soprattutto in Italia) di contrapposti: la velocità istantanea, portata dall'evoluzione tecnologica, si scontra col nostro essere fatti di carne ed ossa, e i nostri bisogni mentali diventano sempre più lontani da quelli fisici. Per usare una battuta di Beppe Grillo "il mondo che ci circonda diventa digitale, ma noi siamo nati analogici e moriremo analogici!", che nasconde un'importante verità. Un altro contrapposto, secondo me decisivo, è quello tra pesantezza ed effimerità: siamo una civiltà che si basa sulle idee e sulle informazioni (e sull'etere!)che dunque non hanno peso; ma siamo anche una civiltà che si fonda sul consumismo e materialismo, che ne è l'esatto opposto!. I tempi cambiano, eccome! Penso che quando l'architettura si lega a una 'falsa' informazione (come potrebbe essere quelle degli spot o della moda) ne assumerà anche il suo decorso: presto perderà di significato e non avrà più nessun valore. I giovani vengono "centrifugati" sal sistema dei media, spremuti della loro vitalità per sostenere un mondo insostenibile, che deve per forza procedere per sacrifici sempre più importanti. Credo oggi non sia più fondamentale emergere prima degli altri, ma emergere in un momento in cui si è pronti per farlo: culturalmente, mentalmente, e fisicamente, per impedire di essere pressati e processati stile fresh&clean dal Sistema. Per questo, diventa necessario costruirsi un percorso, una storia, una credibilità, che ci consenta di avere delle zavorre per impedire di affogare ed essere risucchiati dall'hipervelocità dei nostri tempi. Un saluto

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