mercoledì 1 aprile 2009

SPAZIO INSCRITTO

Vorrei iniziare questo nuovo post, partendo dall'assunto di Mies che nel Baukunst und Zeitwille! scrive: "l'architettura è sempre volontà di un'epoca (Zeitwille) tradotta in spazio". Egli introduce due elementi chiave: la volontà e lo spazio, definendo quest'ultimo come risultato della volontà di un epoca, appunto. Lo spazio abitabile cambia a seconda delle epoche, con la società stessa, rappresentandone la visione, lo spazio mentale. Per millenni lo spazio architettonico si è basato su un'idea archetipa, con elementi variabili nella superficie ma non nella sostanza, definendo bene, elementi come porte, finestre, mura e, addirittura, la tipologia stessa dell'architettura, come abbiamo individuato in aula nella realizzazione del chart. In tal senso, l'individuazione di un'architettura la cui forma tipologica risultava stabilita a priori e caratterizzata da chiusura e continuità (in un legame simbiotico tra edificio e città che seguiva la famosa formula 'l'organizzazione della città deve rispecchiare quella della casa', e viceversa), esprimeva molto bene quello che Mies van der Rohe indicava come Zeitwille. L'architettura industriale già poneva in crisi queste tipologie classiche risponendo, antiteticamente, con la forza della nuova architettura. Anche oggi, l'architettura informatica, sebbene sia ancora agli esordi,ha già prodotto notevoli cambiamenti, riscontrabili soprattutto nei progetti degli architetti di avanguardia.

Quando Peter Eisenman, che oltre ad essere un architetto "costruttore" è anche un architetto "teorico", sostiene che "finestre, porte, travi e colonne sono un modo di inscrivere lo spazio", egli continua illustrando questa sua concezione: "esse rendono l'architettura un fatto evidente, rafforzando la visione. Dato che non esistono spazi non inscritti, non possiamo guardare a una finestra senza porla in relazione con l'idea di finestra". In questa sua descrizione del modo di organizzare lo spazio, Eisenman unisce quello che probabilmente potremmo definire il dato "finestra" con l'informazione denotata dalla finestra stessa. Ma, cosa succede a questa informazione - alla "finestra" per intenderci - nella nostra epoca, l'epoca della rivoluzione informatica, in cui l'informazione nasce in un mondo che per sua natura è informatizzato? Si ha certamente un cambiamento di paradigma, ben interpretato, del resto, da Zaha Hadid quando avverte l'esigenza di operare sottraendo "quei dati familiari che, altrimenti, permetterebbero agli abitanti di ricadere nei consueti comportamenti", ovvero di utlizzare una convezione totalmente nuova rispetto ai dati che finora hanno assunto valore archetipo.

Per far chiarezza su questo punto riporto un breve estratto di Patrik Schumacher in Hadid Digitale, che, a pag. 19, scrive:
"Le nuove tecniche conducono a una nuova concezione dello spazio (spazio del campo magnetico, spazio particellare, spazio distorto) e suggeriscono un nuovo orientamento, una navigazione e modalità di abitazione nuove. Chi abita in un ambiente così concepito non si orizzonta mediante le forme primarie: assi, limiti e spazi chiaramente definiti. Piuttosto, la destribuzione delle densità, la polarizzazione direzionale, la distribuzione scalare delle texture, i vettori gradienti di trasformazione costituiscono la nuova ontologia che definisce che cosa significhi vivere uno spazio".
All'interno di queste brevi righe, accade dunque una vera rivoluzione architettonica, che, a partire dall'uso del nuovo potente strumento, sviluppa un'inedita architettura.

Dopotutto è forse vera la teoria di Charles Winick della City University di New York, che l'uomo ha un rapporto con la televisione simile a quello di un tossicodipendente con droga o alcool, ovvero che ha conseguenze assai gravi: oltre a portare lo spettatore verso uno specifico punto di vista, lo induce, anche ad accettare l'immagine che sta guardando, in tutta la sua interezza. L'ambiente e gli oggetti mostrati sono stati selezionati da altri, lo spettatore è spinto a una percezione passiva. Questo atteggiamento dannoso, coincide probabilmente con ciò che è stata l'architettura preindustriale, che assumeva un punto di vista unico, mentre sfugge all'idea dell'architettura degli utlimi 50-60anni, un'architettura cioè - soprattutto quella digitale - in cui i mezzi stessi di rappresentazione non possono più essere quelli consueti, ma devono rinnovarsi. Ma una rappresentazione veramente chiara non sarà forse ancora possibile, poiché questa nuova architettura è conoscibile solo attraverso il suo essere percorsa, ovvero tramite quel vivere uno spazio che già Bruno Zevi definiva "temporalizzato".


immagine: BETILE, il progetto dello studio Zaha Hadid per il museo mediterraneo dell’arte nuragica e dell’arte contemporanea

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