sabato 28 marzo 2009

IL RITORNO DEL DEMIURGO



C'è una cosa che l'architetto è senz'altro chiamato a fare: una scelta. Già da prima di San Tommaso (1225-1274) il tema del libero arbitrio ha assunto un ruolo centrale all'interno della società. Anche l'architettura come opera dell'uomo (e della società), accoglie al suo interno questo tema, quello, cioè, della scelta personale e soggettiva: un certo tipo di scelta e a volte il coraggio di averla portata avanti, ha segnato il successo o l'insuccesso dell'operazione architettonica. Soprattutto nell'umanesimo, in cui in tutti i campi l'uomo diviene soggetto centrale (si realizza l'homo faber vitruviano), riponendo nelle sue mani (nelle sue scelte quindi) il destino dell'universo: non è un caso -azzardo a dire- che il rinascimento segna la nascita delle "archi-star"; l'architetto diventa mediatore tra il mondo delle idee e la materia, diventa in un certo senso il demiurgo platonico! L'abilità tecnica dell'architetto dovrà sposare le idee, trasferendo dunque alla costruzione un valore informativo, come pure faceva notare il Prof. Saggio che vede l'informazione portatrice di valori aggiunti. Le grandi possibilità di scelta, portano naturalmente alla ricerca dei suoi limiti, ricerca che spesso si stabilizza divenendo movimenti e poi tradizioni, condizionando fortemente tutto il periodo storico successivo. Il campo del ricercatore viene spesso inteso con certo disagio, poichè egli si muove in un campo buio, con la luminosa torcia della sua razionalità indagando terreni sconosciuti; l'insinuarsi della paura verso l'ignoto, implica un rifiuto delle nuove posizioni, un non voler guardare avanti rimanendo ben radicati nel passato. Ma quando la ricerca porta alla discopertà di un elemento di novità, esso inarrestabilmente dilaga, insinuandosi come un fiume in piena, sradicando gli alberi ormai marci di una società vecchia e immobile; e non è un caso che i nuovi portati provengano sempre (o quasi) da giovani. Faceva notare Seneca che "coloro che vogliono (ovvero che aderiscono alla volontà del fato) vengono condotti, coloro che non vi aderiscono vengono strappati (ovvero costretti per forza ad aderire)" dove il fato rappresenta l'inarrestabile avanzare del nuovo.

Le avanguardie del XX secolo, sono state quelle che maggiormente hanno saputo recidere i ponti col passato; prendendone le distanze, sono riusciti a guardarlo con occhi nuovi, più distanti e dunque più storicamente critici. Se gli architetti di 7-800 erano (parafrasando Bernardo di Chartres) "nani sulle spalle di giganti", quelli dell'ultimo secolo (e ancor più i contemporanei) si trovano invece a navigare in un enorme mare aperto, in cui la scelta è diventata personalissima e i limiti delle capacità tecniche sono stati dilatati (virtualmente) all'infinito.

L'illusione di oggettivizzare la scelta architettonica (ogni volta che questa si poneva, come ad esempio nel rinascimento, piuttosto che in epoca moderna) portava in realtà a scegliere un range di soluzioni, e soprattutto ad imporre la propia scelta agli altri, per oggettivizzarla, a tal punto che Le Corbusier ci avverte nel suo Vers une Architecture che "senza pianta c'è disordine, arbitrio"; e aggiunge poi sul tracciato regolatore che esso è una "garanzia contro l'arbitrio". L'arbitrio viene visto quindi da Le Corbusier (ma non solo) come qualcosa da cui rifuggire, arrivando a dettare i suoi famosi cinque punti. Ricordiamo poi anche la famosa formula di Mies van der Rohe del "less is more", che propone un'architettura asettica, a volte fredda e quasi meccanica; ma forse, in fin dei conti, potrebbe avere ragione Oscar Wilde quando affermava che "nulla è più necessario del superfluo"...

immagine: il progetto del Palm Island di Dubai

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