martedì 17 marzo 2009

L'ELLENISMO E IL DINAMISMO

A lezione abbiamo parlato di modernità, utilizzando le parole del filosofo e sociologo francese Jean Baudrillard, che la definiva ciò che "fa della crisi un valore, una morale contraddittoria, e suscita un'estetica di rottura". E' una definizione certo inusuale a quella cronologica o qualitativa che siamo abituati a pensare, ma che studiandola con più attenzione, ne coglie proprio la vera essenza. Questa breve formula lega la modernità alla crisi, in senso necessario, ovvero quando nel primo post parlavo del "brusio di fondo" per definire lo stato preesistente delle cose, che consente l'invenzione dello strumento, in maniera analoga, qui -questo brusio- è la crisi, e ciò che ne scaturisce -se realizza gli intenti della definizione- è modernità. Valore, morale contraddittoria, estetica di rottura, sono parole che evocano qualcosa che ha a che fare con le avanguardie, portatrici delle estreme conseguenze dei caratteri della modernità. Esse, partendo proprio da sentimenti di opposizione (all'individuata crisi) e sperimentazione (emblema di una ricerca non più affidata ai dogmi della tradizione, e che -per usare le parole di Renzo Piano- percorre sentieri mai battuti prima), hanno individuato (segnando probabilmente un punto di non ritorno) un elemento che, dai congressi del CIAM a oggi, è stato decisivo: il dinamismo, la dinamicità (in contrapposizione alla staticità) che è penetrata non soltanto nella "forma" delle cose, ma anche nella loro sostanza materiale e spirituale.

Se il dinamismo prendeva origine dall'avvento sistematico delle macchine nella vita dell'uomo e, da una mai raggiunta prima, velocità, allora oggi, partecipanti alla Terza Ondata (individuata dal futurologo Alvin Toffler) con la velocità, a stento immaginabile, dei software e con l'avvento di una nuova realtà, quella virtuale, allora il concetto di dinamismo acquisisce un nuovo vigore, probabilmente ancora non sperimentato a pieno. E come ricorda Patrik Schumacher scrivendo sulla natura delle avanguardie, questa "è quella di spingersi oltre a ciò che si conosce e di lanciare le proprie provocatorie proposte nel processo collettivo di sperimentazione in una forma ancora grezza, senza aspettare che l'intero ciclo di sperimentazione, variazione, selezione, ottimizzazione e perfezionamento sia completo e in grado di offrire risultati precisi e sicuri".

Se la definizione che oggi abbiamo di dinamismo (come intensa attività di movimento, trasformazione, rinnovamento) risente degli eventi di cent'anni fa (come detto precedentemente), questo argomento ha ben più lunghe radici, che arrivano sino all'universo greco. Esisteva infatti in esso, un vero mondo dinamico (confrontabile senza timori all'architettura contemporanea): non alludo (ovviamente) alle architetture greche, rimaste quasi immutate per diversi secoli (ad esempio Le Corbusier definiva il Partenone -oltre che macchina per emozionare- come variazione applicato allo standard), ma piuttosto punto l'attenzione al mondo della scultura. Ho in mente ad esempio il gruppo di Menelao che sostiene il corpo di Patroclo, piuttosto che al fregio dell'altare di pergamo, in cui i bassorilievi arrivano addirittua a diventare sculture a tuttotondo; in due soli esempi possiamo ammirare come il mondo ellenico si sentisse molto più libero -che in architettura- di investigare effetti dinamici, emozionali.

Tornando a periodi più vicini a noi, tra il 1916-30 si sviluppa il formalismo russo, all'interno del quale si muove lo scrittore Viktor Shklovsky che propone una poetica non più basata sulla mimesis, bensì sull'ostraneine (la defamiliarizzazione) il fare strano. Il fine del poeta sarà quello di combattere l'abitudine e la familiarità rendendo "strano" il "normale". Questo, reagisce a quello che è la standardizzazione della rivoluzione industriale, ma è insito un concetto interessante e sottilmente pericoloso: strano vuol dire non appartenente alla norma (da extraneus, estraneo), alla tradizione, che non viene riconosciuto come familiare, che dunque rompe le regole. Ma ci avverte, giustamente, la brillante Zaha Hadid che "non basta dire o fare qualsiasi cosa purché diversa dalla norma", ma la sfida alle abitudini, l'elaborazione di una scoperta, passa da analisi critiche, da serie investigazioni (magari come propone Tolstoj, estraniandoci, per descrivere oggetti e avvenimenti come se fosse la prima volta che si vedessero) e anche come procedono molti architetti delle avanguardie (come la stessa architetto irachena) attraverso disegni molto precisi.

2 commenti:

  1. Ho letto con interesse questo viaggio nel tempo e nello spazio basato su un aspetto "importante" della questione e cioè quello del dinamismo. Che è, a ben riflettere, "quasi" sempre componente fondamentale di questa ricerca del rapporto tra crisi e modernità.
    Ma la chiave per me non è assolutamente il dinamismo per sé! perché altrimenti uno confonderebbe un effetto (pur fondamentale e "spesso" auspicabile) con una causa. La nascita della prospettiva è caso mai a-dinamica (!) eppure, caspita, se non è modernità quella! Come vede, lei che sa leggere, in questo punto passa una bella differenza tra il sottoscritto e grandi storici con cui ho avuto la grande fortuna di collaborare per anni.
    se ne discuterà, se vuole, in classe se vorrà mai prendere l'argomento.

    RispondiElimina
  2. Salve, grazie del commento; ciò che volevo fare in questo post, era innanzitutto palesare il valore
    delle avanguardie nella produzione della modernità e dunque, passando attraverso
    di esse, individuarne un valore (in effetti saltando volutamente il periodo rinascimentale!), quello di sperimentazione, legandolo al concetto del dinamismo.
    L'elemento del dinamismo (che, concordando con Lei, senz'altro non è una causa di modernità bensì un effetto), si oppone criticamente a tutto ciò che lo precede, ponendolo in discussione; e infatti individuavo nel periodo ellenico (solitamente pensato come estremamente lontano da noi) questa logica dirompente.
    Essendo poi personalmente molto interessato al tema del dinamismo, mi focalizzavo soprattutto sulle prime avanguardie e dunque sul tema della velocità.

    Detto questo, per quanto riguarda il Rinascimento, concordo a pieno che sia a-dinamico, ma esso segna i presupposti fondamentali per quello che sarà 150 anni
    più tardi (torna questa cifra, che Lei aveva individuato invece per il periodo industriale!) ovvero l'estetica di rottura del Barocco! e quella sì che è dinamico!

    Quello che voglio dire è che la prospettiva cambia il mondo talmente in maniera radicale, che i suoi effetti maggiori, probabilmente si sentono con un certo tempo di ritardo, quando ormai "l'uso" dello strumento è stabile, preciso e familiare. Dopotutto gli artisti barocchi si sentivano ancora classici, tant'è vero che spesso si legge delle diatribe tra Bernini e Borromini che per offendersi si chiamavano "gotici" piuttosto che "barocchi".

    A presto

    RispondiElimina